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OGGETTO: OMICIDIO SARA WASINGTON
Questo è il grido di dolore e di disperazione che un genitore senza più speranza e senza più un domani vuole lanciare contro il modo di amministrare giustizia in Italia, che non tiene in alcun conto le carte e le risultanze processuali, i sentimenti e il dolore di chi resta e sopravvive alla barbara uccisione di una figlia di ventuno anni.
Il 27.09.07 ho perso mia figlia, uccisa barbaramente da un suo sedicente amico, che l'ha invece trucidata, mentendo sistematicamente sia agli inquirenti che al Giudice del processo, nascondendo il reale svolgimento dei fatti, senza che alcuno sia stato tuttavia in grado di accertare e verificare il reale accadimento dei fatti e chiarire sino in fondo le circostanze in cui mia figlia è stata uccisa.
Ho dovuto subire così la sistematica emarginazione dalle indagini e dallo stesso processo, ho dovuto subire una mezza verità, assolutamente non sufficiente a rendere giustizia di un gesto che ha tolto a mia figlia la vita e a me e per sempre la voglia di vivere.
Per due giorni abbiamo cercato mia figlia, e per due giorni ho dovuto aspettare abbandonato su una panchina in un corridoio della Questura di Torino senza che nessuno mi informasse di alcunché circa l'andamento e l'esito delle indagini.
Rinvenuto il corpo di mia figlia in una stradina di campagna nei pressi di Torino, ho dovuto subire il rifiuto da parte del Questore di Torino Sergio Molino e del suo vice Marco Basile di poter vedere e riconoscere mia figlia, il cui cadavere giaceva esanime su un lettino dell'istituto di medicina legale: il rifiuto di poterla vedere è stato assoluto, irragionevole e impietoso, sono stato trattato con sufficienza e superficialità, in spregio al dolore per la tragica perdita di mia figlia.
Ma chiedo a entrambi, se fosse stata ammazzata la loro cara ed amata figlia, ove mai ne abbiano una, si sarebbero comportati ed avrebbero fatto ciò che hanno impedito e vietato di fare a me?
Sono stato trattato come se chi stesse chiedendo di poter vedere la propria figlia ormai morta e perduta per sempre, fosse invece d'intralcio al rapido ed efficiente svolgersi delle indagini.
Ma è proprio nel modo in cui esse si sono svolte e sono state condotte che si svela talora l'incapacità talora la superficialità degli inquirenti, e tra questi il capo della squadra mobile Marco Basile, ma anche le stranezze e le incomprensibili mezze verità di una vicenda investigativa iniziata male e finita peggio.
E così assistiamo all'identificazione di un cadavere senza documenti da parte del medico legale intervenuto per i primi rilievi come il cadavere di mia figlia, della quale non sono stati mai più ritrovati i documenti e la borsetta che aveva con sé quella tragica sera.
Come assistiamo anche all'esecuzione di rilievi e all'esame del cadavere da parte di poliziotti che non hanno usato alcuna norma di prudenza e diligenza che evitassero l'inquinamento delle prove e la contaminazione dei luoghi e delle condizioni in cui il cadavere fu rinvenuto. Ma ancora più grave è quello che accade quando l'omicida di mia figlia fa credere di confessare la sua responsabilità.
Quello che accade è gravissimo ma anche terrificante, perché di fronte al reo confesso le indagini e il processo non servono più per accertare la verità ma diventano i luoghi e i momenti per celebrare l'individuazione del colpevole e il trionfo della giustizia, ridotta a vestire i panni di chi ha fatto esibizionismo della pretesa di possedere velleitarie qualità investigative ( il questore di Torino Sergio Molino ) e di giudizio ( il gup di Torino Dott.ssa Paola Dezani).
E' proprio il gup Dott.ssa Dezani che smentisce le risultanze processuali e mistifica e disattende la verità dichiarando che la morte di mia figlia sarebbe sopraggiunta per asfissia e non invece per il soffocamento provocato dall'azione omicida del suo carnefice che le ha impedito di respirare provocandone la morte.
E così anche l'aver trovato il colpevole dopo solo tre giorni di indagini ha indotto gli inquirenti ad abbandonare ogni ulteriore sforzo per l'accertamento delle condizioni e delle circostanze in cui l'omicidio è realmente avvenuto e il giudizio abbreviato scelto dall'imputato è stata la tomba della verità.
L'omicida ha infatti chiesto e ottenuto il rito abbreviato che nonostante tutto assicura la riduzione di un terzo della pena, anche se il delitto è caratterizzato da particolare efferatezza, nel nome della celerità e della speditezza del processo che sacrifica sull'altare di una presunta ma mai raggiunta efficienza la verità e la giustizia e, credo anche, la credibilità dello Stato.
E' accaduto così che nessuno ha più accertato le circostanze in cui l'omicidio di mia figlia è avvenuto, limitando la verità processuale alla confessione parziale e reticente dell'omicida che è paradossalmente riuscito a far passare il gesto come omicidio preterintenzionale, strategia processuale fin troppo chiara dall'inizio del processo ma che nessuno ha voluto contrastare ed ha avuto il coraggio di rovesciare.
Vi sono infatti alcune valutazioni che possono farsi sulla scorta degli elementi raccolti nelle indagini, anche se spesso in modo incompleto, insufficiente e superficiale, che entrano in aperto conflitto con la verità processuale uscita dal processo strozzato del rito abbreviato: perché a un cadavere senza documenti viene dato subito e senza dubbio il nome di mia figlia?
Perché l'esito dell'esame autoptico parla di soffocamento meccanico ed esclude tra le cause della morte quella per asfissia, ed invece il gup dichiara che la morte è avvenuta per asfissia?
Perché non sono state tenute in alcun conto le risultanze dei tabulati telefonici e dei rilevamenti delle celle telefoniche, che condurrebbero a conclusioni diametralmente diverse sul comportamento dell'omicida e sul luogo e sul tempo in cui l'omicidio è avvenuto? Perché non è stata approfondita la circostanza secondo la quale mia figlia non indossava gli slip?
Perché gli slip trovati nella camera da letto dell'omicida non sono stati esaminati per verificarne o meno l'appartenenza a mia figlia, invece che fidarsi della parola della fidanzata dell'omicida che li ha dichiarati come suoi?
Perché non è stata data alcuna rilevanza al fatto che nella cantina in cui secondo l'omicida reo. confesso e secondo gli investigatori è stata portata mia figlia, non è stata rinvenuta alcuna traccia di sangue appartenente a mia figlia? eppure il suo corpo e suoi abiti presentavano enormi tracce di sangue.
Perché non dare alcuna rilevanza al comportamento dell'omicida nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti l'omicidio, comportamento che darebbe netto il profilo della premeditazione?
Perché non ascoltare durante le ricerche e poi, dopo il ritrovamento del cadavere, durante le indagini la voce di un padre? Possibile che un padre non avesse alcunché da
dire sulla propria figlia in modo da ricavarne un quadro e degli elementi il più completi possibili per l'individuazione del colpevole?
Perché non dare alcun rilievo al fatto che l'omicida, subito dopo aver ucciso mia figlia, si rechi presso la sua casa dove, peraltro, assale e tenta di ucciderne anche la madre?
Perché un comportamento del genere non ha avuto alcuna conseguenza sul piano processuale?
Questi sono solo alcuni delle enormi lacune che le indagini e lo svolgimento del processo offrono alla riflessione di un osservatore attento e responsabile, fedele alla sua missione dell'accertamento della verità.
Ed è per questo che non rinuncerò mai alla verità, non mi rassegnerò mai ad una verità di comodo, e spero che l'imminente processo di appello dia finalmente soddisfazione di questa sete di giustizia, l'unico anelito di speranza che ancora mi resta di coltivare.
Così come non rinuncerò ad invocare ulteriori accertamenti e a chiedere che si vada sino in fondo per svelare la verità.
Un padre ha il dovere di fare chiarezza, ha il diritto di sapere.
Torino 6 aprile 2010
Wasington Damiano

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